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martedì 22 marzo 2016

News - L'assoluzione dell acqua calda. Il Tna assolve i primi otto azzurri coinvolti nei whereabouts

Silvia Salis
Lo sappiamo benissimo: non si fa.
Non è educato dire: "l'avevamo detto noi...". Si fa la figura degli sbruffoni, di quelli che vogliono porsi spocchiosamente al di sopra di tutti gli altri. Ci si rende antipatici.
ECCHISSENEFREGA!
Noi, e a dire il vero eravamo in buona anche se non folta compagnia, l'abbiamo detto "fin da quel dì" (per tigna specifichiamo che era il 3 dicembre 2015) che tutta la storia dei whereabouts era una bolla di sapone  e lo abbiamo ribadito il giorno successivo, e ancora in seguito nelle nostre discussioni private e social sull'argomento. E, nei casi migliori, ci siamo sentiti bollare come ingenui. 
In quei giorni molta parte della blasonata stampa nazionale si è affrettata a sigillare la questione con una bella colata di fango, dimostrando di aver capito poco e niente di quello che era accaduto e stava accadendo, in una corsa alla ricerca del consenso facile data dalla voglia di bruciare in piazza le streghe del doping.
In quegli stessi giorni quella stessa stampa blasonata, fatta eccezione per pochissimi esponenti fuori dal coro, si recava in processione a testimoniare il miracolo della redenzione del campione peccatore.
Oggi quelle stesse dita che all'epoca correvano velocissime e taglienti sulle tastiere, sono paralizzate di fronte ad alcuni aspetti dubbi del curriculum del redentore.
Domattina, gli stessi che qualche mese fa tiravano pietre, si mimetizzeranno facendo gli gnorri sull'assoluzione dei primi otto deferiti, oppure sceglieranno di praticare l'unica specialità dell'atletica in cui il Bel Paese vanta centinaia di campioni: il salto sul carro del vincitore. Inutile farsi venire un travaso di bile, è un'italica tradizione che non cambia, resiste al tempo e alle mode. La coerenza qui non ha mai attecchito.
Per parte nostra vogliamo congratularci con chi oggi finalmente esce da una brutta vicissitudine e con chi lo farà domani e dopo. Al tempo stesso vogliamo ribadire quello che scrivemmo quattro mesi fa: tutta la vicenda delle mancate reperibilità è un indice di come certe esigenze professionali vengano gestite all'insegna del dilettantismo più raffazzonato e se gli atleti hanno avuto una colpa in tutto questo è stata quella di fidarsi del metodo "in qualche modo si rimedia" in uso da parte di alcuni e di non alzare un polverone quando si sono resi conto che il meccanismo dei controlli non funzionava affatto. 
Fabrizio Donato
Non osiamo nemmeno sperare che chi ha avuto la responsabilità di tutti questi "malfunzionamenti" si assuma le proprie responsabilità e si faccia da parte, da noi non usa. Nè ci aspettiamo che chi non ha saputo incanalare nei giusti binari una storia che quando è arrivata ai grandi media era già nota da mesi, alzi la mano e si cosparga il capo di cenere. Lo ripetiamo: da noi non usa.
Quando la "bomba" mediatica (ma sarebbe meglio dire il petardo) è scoppiata ha fatto rumore per molto meno di una settimana, ma ha fatto danni che verranno riparati in molto, moltissimo tempo.
Gli otto assolti di oggi (e quelli che lo saranno domani e dopo) vorrebbero che, così come i loro nomi sono stati infangati ieri, venissero riabilitati domani scrivendo a caratteri cubitali "NON C'ENTRANO NULLA COL DOPING". Hanno ragione ma, purtroppo per loro, non crediamo avranno soddisfazione: da noi non usa.
L'unica speranza è che l'impresa di Tamberi, l'arma di distrazione di massa che l'atletica italiana si è ritrovata in mano assolutamente per caso, possa far scendere rapidamente il sipario del dimenticatoio su questa sgradevole storia.

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